Derivati New Concept Advisory

Un libro che smaschera la storia italiana sui derivati

Un giornalista scrive un libro per parlare della storia dei derivati in Italia, confrontandola con quella degli altri Paesi. Una storia ancora piena di segreti e di danni economici elevatissimi.

L’Italia: persi oltre 28,9 miliardi di euro

L’Italia non è stata l’unica a scommettere sui derivati. Delle nazioni che fanno parte dell’Unione europea, però, il nostro Paese è quello messo peggio. È questo uno dei dati più impressionanti contenuti nel libro “La voragine”, scritto dal giornalista Luca Piana.

I derivati in teoria dovrebbero servire per assicurarsi contro i rischi, come per esempio l’aumento dei tassi d’interesse. Se i tassi aumentano, infatti, crescono generalmente anche i costi per chi si è indebitato. Poiché l’Italia ha uno dei maggiori debiti pubblici al mondo, può non sorprendere il fatto che il nostro Paese abbia sottoscritto parecchi derivati. I rischi connessi a questi strumenti sono però altissimi. I dati ufficiali permettono di tracciare un confronto con le altre nazioni e risalgono al 2013, quando la situazione dei contratti firmati dal nostro ministero dell’Economia non era ancora degenerata ai livelli raggiunti negli anni successivi.

Già allora la situazione era grave. Per capirlo bisogna prendere in considerazione il “mark to market”, valore che indica il guadagno o la perdita potenziale dei derivati comprati da un Paese. Ebbene, nel 2013 il mark to market dei derivati sottoscritti dall’Italia era negativo per 28,9 miliardi di euro. Ai nostri vicini la scommessa è andata meglio, a volte molto meglio. Nel 2013 le perdite potenziali della Germania erano infatti pari a 16 miliardi, quelle della Grecia sfioravano i 4 miliardi, quelle del Portogallo ammontavano a poco più di 1 miliardo. Alcuni Paesi, come Spagna e Belgio, non hanno mai sottoscritto derivati, mentre tra quelli che hanno deciso di scommettere c’è anche chi potrebbe guadagnarci.

Le nazioni fortunate e le previsioni per il futuro

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Derivati e aumenti di capitale: la storia di MPS

Nazioni come la Danimarca, l’Olanda, la Svezia, la Finlandia, l’Irlanda e la Francia segnavano infatti – sempre nel 2013 – mark to market positivi, ovvero potenziali profitti su quei contratti. Com’è possibile? Risposte precise a queste domande sono impossibili da dare perché, come spiega Piana nel suo libro, “a dispetto degli interessi in gioco e del diritto degli italiani a essere informati sul modo in cui i loro quattrini vengono spesi, sui derivati esiste di fatto un segreto di Stato”.

Insomma, non si possono conoscere i dettagli di tutti i derivati sottoscritti con le banche d’affari, e non si possono di conseguenza attribuire con certezza eventuali responsabilità dei politici o dei dirigenti che si sono succeduti al ministero dell’Economia. Di sicuro c’è un fatto. Come emerso grazie all’indagine della Commissione Finanze della Camera e ai calcoli contenuti ne “La voragine”, solo dal 2011 al 2015 l’Italia ha subito un costo di 23,5 miliardi di euro per effetto degli interessi netti pagati sui derivati e degli altri oneri connessi. In media equivalgono a 4,7 miliardi l’anno. Una somma enorme. Basti dire che per aiutare i cittadini più poveri lo Stato 
spende 1 miliardo l’anno.

La scommessa persa sui derivati ha dunque privato il Paese di risorse importanti in un momento di crisi. E potrebbe non essere finita qui. I contratti attivi restano molti, anche se non si sa con precisione quanti siano. Gli ultimi scadranno nel 2062.

Le preoccupazioni per i danni collaterali

Questo libro dimostra come la storia dei derivati in Italia è travagliata. Così tanto che non è possibile conoscere nel dettaglio i responsabili dei danni causati all’economia italiana.

Tuttavia, le vere preoccupazioni riguardano il futuro. Infatti si prospettano ancora danni a causa di questi derivati.


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