Anatocismo

Che cos'è l'anatocismo

Evoluzione normativa – tra legittimazioni e divieti della pratica di produzione di interessi su interessi – La vittoria dei correntisti

L’anatocismo è il fenomeno della produzione di interessi su interessi. Avviene quando gli interessi prodotti dal capitale scaduto, vengono sommati a questo, formando un nuovo capitale che, a propria volta, produce interessi. Un tal modo di operare determina l’aumento esponenziale del capitale perché gli interessi prodotti, fondendosi con il capitale, producono a loro volta interessi.

L’applicazione di interessi su interessi riguarda quindi tutti quei casi in cui la Banca capitalizzi gli interessi debitori, nello specifico: conti correnti affidati, finanziamenti con rimborso pluriennale con il metodo francese. Si tratta di un fenomeno assai discusso. Va saputo che esso è vietato dal nostro ordinamento, salvo alcune precise deroghe.

“Un banchiere è uno che ti presta il suo ombrello quando c'è il sole, ma lo rivuole indietro appena inizia a piovere.”

Mark Twain

Anatocismo

Dove è regolato l’anatocismo?

Il fenomeno dell’anatocismo è anzitutto regolato dall’art. 1283 c.c. che ne esprime il divieto generale, oltre che dall’art. 120 T.U.B. che ne indica le deroghe.

L’art. 1283 c.c.: norma imperativa

L’art. 1283 c.c. espressamente prevede “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

Ai sensi del presente dettato l’applicazione di interessi anatocistici è ammessa -salvo usi normativi contrari- o dal momento della proposizione della domanda giudiziale o in ragione di convenzione, pattuita successivamente alla scadenza e, in ogni caso, qualora tali interessi siano dovuti per almeno sei mesi.

Il codice civile legittima il fenomeno anatocistico unicamente qualora si versi in uno dei due casi descritti, escludendo, di conseguenza, le ipotesi differenti.

L’art. 1283 c.c. va inquadrato quale norma cogente e pertanto non suscettibile di deroga pattizia. Non rientra, infatti, nell’alveo delle disposizioni che possono essere disapplicate in ragione dell’autonomia negoziale delle parti, in quanto atta a tutelare interessi qualificati come superiori e generali rispetto a quelli della sfera giuridica dei singoli contraenti.

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Evoluzione normativa della produzione di interessi su interessi: l’art. 120 T.U.B.

Da molti anni veniva contestato alle banche che sui conti correnti con affidamento (scoperto di cassa), esse applicavano anatocismo vietato, portando a capitale, ogni trimestre, gli interessi a debito. Fu però soltanto sul finire del 1999 che la Corte di Cassazione intervenne definitivamente dichiarando nullo l’anatocismo applicato da tutte le banche fino a quel momento, stabilendo che tale fenomeno non rientrava nel concetto di “usi normativi” che potevano derogare al divieto imperativo di legge.

Il Legislatore interveniva con il d.lgs. n. 342/1999 che, innovando il disposto dell’art. 120 T.U.B., delegava il C.I.C.R. a stabilire chiaramente le modalità ed i criteri per la produzione di interessi su interessi, in deroga all’art. 1283 c.c.

Con la delibera C.I.C.R. del 09.02.2000 si ammetteva che i contratti bancari stipulati a partire dal 22.04.2000 (data di entrata in vigore della delibera) potessero prevedere l’anatocismo, purché nel rispetto del principio di reciprocità, da intendersi quale uguale periodicità di capitalizzazione di interessi attivi e passivi, a differenza di quanto avvenuto fino a quel momento.

La delibera C.I.C.R. richiamata interveniva anche al fine di regolare le posizioni pendenti e aperte prima del 2000, stabilendo che i contratti di conto corrente stipulati precedentemente potevano proseguire, a patto che la banca avesse comunicato al correntista il nuovo regolamento entro il 30/6/2000 e lo avesse anche pubblicato in Gazzetta ufficiale, per il caso in cui la regolamentazione successiva (con anatocismo reciproco) risultasse migliorativa della precedente (senza valido anatocismo). Nel caso contrario, invece, in cui la regolamentazione successiva risultasse peggiorativa della precedente, imponeva anche una nuova pattuizione scritta oltre alla comunicazione e alla pubblicazione in G.U.. In ogni caso, l’anatocismo applicato fino al 30/6/2000 restava nullo.

Su quest’ultimo aspetto è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione, stabilendo che la regolamentazione successiva al 30/6/2000, di contratti di conto corrente già esistenti, è in ogni caso peggiorativa con l’anatocismo reciproco, rispetto alla precedente, che invece annulla completamente l’anatocismo e perciò, riguardo i vecchi contratti, se non c’è stata pattuizione nuova, l’anatocismo resta nullo anche dopo l’1/7/2000.

Successivamente, con la L. 147/2013, si tentava di arginare il fenomeno anatocistico (precedentemente legittimato) modificando l’art. 120 T.U.B. e fissando il divieto generale di produzione di interessi su interessi. Siffatta modifica importava una novità dirompente in quanto determinava il generale divieto di anatocismo per tutti i contratti bancari, dopo che per oltre un decennio se ne era legittimata l’applicazione.

La portata innovativa rimaneva circoscritta perchè la relativa delibera non veniva mai adottata dal C.I.C.R., pertanto, vi era il dubbio se la novella fosse o meno entrata in vigore.

Nel 2016 interveniva una ulteriore modifica dell’art. 120 T.U.B. che ridisegnava così la disposizione.

“Wall Street è l'unico luogo in cui chi arriva in Rolls-Royce chiede consiglio a chi arriva in metropolitana.”

Warren Buffett

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La disciplina attualmente vigente

L’attuale comma 2, art. 120 T.U.B., come riformato, sembra aver posto un argine al fenomeno dell’anatocismo, limite che, analizzando la disposizione, risulta più formale che sostanziale

Anzitutto, l’articolo prevede, per gli interessi debitori, che questi siano conteggiati al 31 di dicembre, divenendo esigibili al primo marzo successivo, salvo il caso della chiusura definitiva del rapporto, per cui diventano immediatamente esigibili. È previsto che gli interessi debitori maturati non possano produrre interessi ulteriori e siano calcolati solamente sulla sorte capitale, al tempo stesso, è però ammesso che tale somma possa essere addebitata sul conto, imputandola, di conseguenza a capitale a condizione che vi sia espresso consenso da parte dell’interessato.

Il motivo per cui la modifica intervenuta nel 2016 ha importato un divieto più formale che sostanziale è questo: esprimendo il consenso all’addebito di interessi divenuti esigibili in conto si realizza il fenomeno stesso che la norma tenta astrattamente di aggirare, ossia appunto l’anatocismo.

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Quale interesse tutelano le disposizioni richiamate?

Il divieto posto dall’art. 1283 c.c. e dall’art. 120 T.U.B. mira a tutelare la posizione del contraente debole (azienda o privato) che nei confronti degli istituti di credito si trova necessariamente in una condizione di inferiorità.

L’argine posto alla produzione di interessi su interessi è teso quindi a garantire al correntista e/o mutuatario privato la conoscenza dei costi effettivamente applicategli e ad impedire un lucro “celato” da parte della Banca. Se nel contratto è fissato un certo tasso di interesse e questo viene applicato così come pattuito, allora, l’interessato è posto nelle condizioni di sapere chiaramente il costo dell’operazione.

Diversamente, se nella pattuizione è indicato un tasso, ma in concreto su quegli interessi già prodotti ne vengono prodotti altri, allora non si può affermare che l’interessato conosca l’esborso effettivo che quella operazione comporta.

Le disposizioni analizzate vanno raccordate anche all’art. 1284, comma 3, c.c. che prevede la pattuizione scritta obbligatoria per l’applicazione di interessi superiori a quelli legali.

La capitalizzazione degli interessi importando l’applicazione di un tasso effettivo superiore si traduce nella indeterminatezza del tasso di interesse concordato -in quanto inferiore a quello pattuito- e quindi nella sua nullità.

“Il fattore chiave che determinerà il tuo futuro finanziario non è l'economia; il fattore chiave è la tua filosofia.”

Jim Rohn

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Le nostre conclusioni

Concludendo, il fenomeno anatocistico e quindi della produzione di interessi su interessi che, andando a fondersi con il capitale, determina un incremento esponenziale di questo, cui corrisponde un notevole maggiore esborso per il cliente, è stato nel corso del tempo oggetto di modifiche, come si è dato conto.

Si è, infatti passati dalla legittimazione tout court dell’anatocismo, al suo divieto, alla reintroduzione mascherata con un divieto di applicazione più formale che sostanziale. A parere della scrivente si tratta di un fenomeno che dovrebbe essere, come chiaramente stabilito dal codice civile, vietato in quanto determina un maggiore esborso per il cliente senza che questo sia effettivamente posto nella consapevolezza delle conseguenze economiche derivanti dal calcolo degli interessi sugli interessi. Si tratta, tra il resto di un fenomeno diffuso, e non solo in operazioni bancarie quali ad esempio l’apertura di credito in conto corrente e in conto pagamento, ma anche nell’esecuzione, ad esempio, di contratti di mutuo qualora per questi sia previsto un piano di ammortamento cd. “alla francese” con applicazione del regime finanziario della capitalizzazione composta. Sicuramente l’orientamento maggioritario ad oggi considera assolutamente legittimo il piano di rimborso alla francese in quanto non determinante il fenomeno anatocistico qui contestato, tuttavia, alcune Corti di merito hanno affrontato in maniera approfondita il problema de quo giungendo esattamente a conclusioni opposte a quelle generalmente accettate e, a parere di chi scrive indubbiamente più corrette. In particolare, il Tribunale di Massa, ha dimostrato, attraverso una compiuta analisi, che il fenomeno anatocistico vietato ex art. 1283 c.c. è generato ex sé in ragione dell’utilizzo del regime finanziario in capitalizzazione composta adottato. È infatti, al momento originario, quindi di calcolo e pattuizione della rata con determinazione del T.A.N. (Tasso annuo nominale) che si genera il problema. Lo snodo cruciale è dato proprio dall’errato punto di partenza nell’osservazione del fenomeno.

Coloro che considerano legittimo il piano descritto analizzano la questione unicamente a valle osservando quindi che il mutuatario mai è chiamato a pagare, alla scadenza della rata, interessi su interessi, ciò in quanto corrispondendo gli interessi ad ogni scadenza questi rimangono primari, non divenendo formalmente mai secondari e quindi non producendo interessi su interessi. Diversamente, prendendo come riferimento il momento originario, ossia la pattuizione contrattuale può ben rilevarsi che l’applicazione di un T.A.N. calcolato in regime di capitalizzazione composta determina il fenomeno anatocistico in quanto gli interessi scaduti, essendo immediatamente disponibili ad ogni periodo di capitalizzazione (a differenza di quanto accade in regime semplice), si fondono con il capitale, producendo a loro volta interessi alla prossima scadenza. Così facendo si genera il fenomeno vietato ex art. 1283 c.c. di cui però se ne ha percezione unicamente con raffronto del rapporto all’origine.

Pertanto, può ben affermarsi che oggi il fenomeno anatocistico rappresenti ancora una pratica in uso che, se da un lato agevola l’istituto di credito, dall’altra danneggia il soggetto che la subisce, chiamato a pagare una somma notevolmente superiore a quella che avrebbe dovuto sborsare in assenza di applicazione di interessi su interessi. Si tratta quindi di una pratica che per la sua portata dovrebbe essere definitivamente abolita in ossequio a quanto stabilito dal disposto del codice civile risulta chiaro e privo di spazio ad interpretazioni differenti.

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La vittoria dei correntisti

Vi sono ancora moltissimi rapporti di conto corrente affidati in essere iniziati prima dell’anno 2000, ai quali non è seguita la stipula di un nuovo contratto. In questo casi, l’imprenditore che voglia agire contro la banca per rettificare il saldo attuale a debito del proprio conto corrente, oppure riprendersi le somme che la banca ha addebitato illegittimamente negli anni se il conto è ormai chiuso, ha la strada spianata. In tribunale, l’anatocismo illegittimo è indifendibile e quotidianamente vengono emesse sentenze di condanna contro tutte le banche italiane.

Anche nei conti correnti iniziati successivamente, tuttavia, è possibile riprendere in restituzione molto denaro, ciò accade quando gli interessi maturati su conti collaterali, ad esempio per anticipi salvo buon fine, o per anticipazione su crediti, vengano girati a debito del conto corrente affidato. Quando ciò avviene, l’anatocismo che viene a formarsi sugli interessi dei conti collaterali è illegittimo, perché in quei conti, di puro finanziamento, manca completamente il requisito della reciprocità e dunque il saldo del conto principale deve essere depurato dall’anatocismo dei conti collaterali.

La stessa cosa avviene, tra l’altro, quando il conto corrente ordinario sia affidato e sia in utilizzo da parte del correntista, senza mai andare a credito. In questo caso, gli interessi che maturano trimestralmente non sono quelli prodotti dall’utilizzo del conto corrente, bensì quelli prodotti dall’utilizzo dell’apertura di credito (c.d. fido) che vi è reso operativo. Poiché uno dei presupposti essenziali per la validità dell’anatocismo è la reciprocità, questa essendo impossibile nel contratto di apertura di credito, ecco che anche per questi interessi, l’anatocismo è nullo e possono essere richieste in restituzione tutte le somme pagate in eccesso.