Imprenditore coraggioso

Questa potrebbe esser una storia come tante ma non lo è: è la storia di un imprenditore coraggioso. però l’inizio di questa storia è purtroppo comune e a raccontarcela è l’edizione del 3 agosto del quotidiano Il Centro nella pagina di Pescara.

La rovina

imprenditore coraggiosoL’inizio di questa storia risale al 2009, nel momento in cui un fornitore dell’azienda dei videogiochi, di cui Gaetano Longhitano è titolare, denuncia la scomparsa (in realtà mai avvenuta) di ben 15 assegni per un valore di 100mila euro. L’imprenditore coraggioso non incamera la cifra dovutagli, la merce non la vede nemmeno con il binocolo ed il gioco è fatto. L’uomo si trova in sofferenza finanziaria e le banche stringono intorno alla sua gola un laccio sempre più stretto. L’azienda con sedi a Pescara (dove vive l’uomo), ma anche a Roma, Rieti e Ortona, fallisce a dicembre 2009.

Le ipoteche su un terreno, sulle moto e sulle due abitazioni una già dovuta vendere e l’altra di cui risulta custode dell’immobile come emerge dalla curatela fallimentare: insomma, un disastro economico in piena regola. Basti pensare che l’abitazione in cui vive, battuta all’asta per un valore di 162mila euro rispetto ad un valore di 800mila euro, è bastata alle banche per coprire solo una parte dei debiti dell’uomo, ancora in credito verso di loro di altri 150mila euro.

Per 100mila euro di buco, nemmeno dipendente da una propria volontà o da una mala gestione imprenditoriale, l’uomo si è ritrovato a perdere tutto: da oltre 7 anni è costretto ad appoggiarsi a parenti e amici per mantenere la moglie e il figlio.

La battaglia legale

tribunale-pescara banca rinfonderaIn questi anni l’imprenditore cerca di difendersi anche legalmente, cercando prima di trovare un accordo con gli istituti di credito per levare le ipoteche, vendere le proprietà e provare a cominciare una nuova avventura imprenditoriale. Accordi bonari che le banche non accettano, mentre la situazione di Longhitano si complica anche dal punto di vista della salute e curarsi, quando non si hanno possibilità economiche, non è certo facile.

A questo punto l’uomo, arrivato all’ultima spiaggia, attraverso i suoi avvocati Pizzuti e Luciani denuncia le due banche locali per “fatti di usura” e “raggiro” da parte dei due istituti di credito a cui si era appoggiato. Non solo, chiede anche la sospensiva del blocco degli immobili e di poter accedere al Fondo Nazionale per le vittime di estorsione, per poter provare a ricominciare una vita.

Risale al 9 giugno del 2015, la denuncia-querela nella quale Longhitano dichiara di ritenersi non solo vittima di usura ma anche di raggiro da parte delle banche hanno praticato tassi di interesse ben al di sopra del limite legale. Lo scorso 20 luglio inoltre l’imprenditore ancora gravemente malato, ha chiesto l’accelerazione della sospensiva del blocco dei beni, ferma da più di un anno, per poter accedere al fondo nazionale antiusura.

Il parere dell’esperta

Ciò che incuriosisce ma provoca anche maggiore rabbia in questa storia è come sia possibile che un ammanco iniziale di 100 mila euro possa portare ad un tale rovina?

“Quando si riceve un decreto ingiuntivo e non ci si oppone e viene emessa un’ipoteca è praticamente finita: non si può più fare opposizione e contestare, non è possibile chiedere ad un tribunale di determinare il proprio debito reale, si arriva alle aste dove immobili e averi subiscono una svalutazione che determina perdite decisamente più ingenti rispetto al debito iniziale”.

chiericatiA rispondere è Rosa Chiericati, avvocato che si batte da tempo contro le ingiustizie perpetrate dalle banche e che due anni fa è riuscita ad ottenere, per la prima volta, un provvedimento che ha cambiato la giurisprudenza. Da quel momento, anche sui mutui, le aste si fermano e le banche sono condannate a restituire gli interessi.

La situazione sembra ormai esser degenerata, anche se l’imprenditore coraggioso ha comunque sporto denuncia verso le banche. C’era forse spazio per un intervento più tempestivo dal punto di vista legale?

La situazione andava affrontata subito, prima che i decreti ingiuntivi divenissero giudicati – prosegue l’avvocato -. Se si impugna il decreto ingiuntivo entro i 40 giorni dalla notifica è la banca a dover dimostrare il proprio credito ed è molto più difficile di quanto si possa immaginare. Probabilmente avrebbe anche evitato il fallimento della società. Se ci si limita a non pagare, sia pure nella ragione e poi ci si ferma, le situazioni sono destinate a crollare addosso agli imprenditori. In questi casi si deve quindi repentinamente individuare un avvocato di consolidata esperienza nella materia del diritto bancario e stabilire una strategia con l’avvocato attaccando, attaccando e ancora attaccando”.

 

 


Fonte: Il Centro